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Annunciazioni. Percorsi di semiotica della religione

Massimo Leone

Di tutte le annunciazioni che popolano la storia umana e le sue svariate tradizioni, al semiologo non interessa la fonte in sé, il numinoso che all’umano si rivolge per significargli di volta in volta la propria presenza, intenzione, sensibilità; interessa, piuttosto, il modo in cui a seconda delle epoche storiche, dei contesti culturali, delle vicende sociali, ma anche delle sensibilità individuali, uomini e donne hanno utilizzato i materiali del mondo, quelli dell’immanenza, per forgiare i significanti del divino. Ovvero, specularmente, il modo in cui hanno immaginato, e creduto con fermezza, che tali materiali divenissero d’un tratto appannaggio di una divina intenzione di comunicare, stoffa della rivelazione, parole annuncianti. Al teologo, non al semiologo, spetta immaginare la ricostruzione della totalità a fronte della quale si dipana il messaggio divino nella sua vicenda immanente. Al semiologo tocca invece un compito che è insieme più modesto e più costrittivo; innanzitutto raccogliere e inventariare queste tracce: in quali circostanze gli uomini e le donne hanno raccontato e raccontano di un loro incontro con il divino? Utilizzando quali segni? Piegandoli a quali necessità comunicative? Il compito successivo, più arduo, è analizzare questi segni, con gli strumenti di cui dispone la metodologia semiotica, per capire se si possano in qualche modo catalogare, suddividere in tipologie, distribuire in atlanti che, anche al di là e a dispetto delle differenze d’origine storica e confessionale, manifestino nondimeno dinamiche comuni nella costruzione e nell’elaborazione del linguaggio.

 

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