E|C n. 44, 2025
Maleducati e mal educare
a cura di Alice Giannitrapani e Gianfranco Marrone (Università di Palermo)
Si parla tanto di maleducazione, ci si lamenta della sua presenza dovunque e sempre, come se oggigiorno fosse più viva che mai. Ci capita spesso d’essere infastiditi per un certo insopportabile comportamento in treno, a tavola, in aula, a letto… E ci accade altrettanto spesso di ascoltare, volenti o nolenti, strali di censori che lamentano la maleducazione altrui assai più diffusa, dicono, del passato. Prima c’era la civiltà dell’immagine, oggi c’è l’inciviltà delle cattive maniere. Ma siamo certi che sia una questione soltanto contemporanea, imputabile alle famigerate ‘nuove tecnologie comunicative’? Cosa ha da dire la scienza della significazione a questo riguardo?
La maleducazione implica un punto di vista valutativo su un comportamento, un giudizio non solo estetico — volto a misurare l'appropriatezza di un gesto o di un'azione — ma anche etico — finalizzato a definirne la correttezza rispetto a un sistema di valori più o meno condiviso (non a caso si parla di "cattiva" e di "buona" educazione). È dunque anche un fatto politico. Presuppone uno standard riconosciuto, una normatività dalla quale ci si discosta. E se riconoscersi in certi codici di condotta crea senso di appartenenza e forme di identità collettiva, distaccarsi da essi è alla base della costituzione di forme di vita alternative, secondo il noto principio di uniformazione interna e differenziazione esterna.
Il maleducato, in linea di principio, è sempre eccentrico, a-normale in senso statistico (ovvero al di fuori del comportamento della maggioranza). È un soggetto fuori dalle righe: per eccesso – chi alza la voce, chi si veste a un incontro informale come a un matrimonio, chi fa regali sproporzionati causando imbarazzo – o insufficienza – chi bisbiglia, chi si presenta a un matrimonio come se andasse al lavoro, chi non ringrazia quando dovrebbe. Spesso il maleducato non si rende conto di esserlo e per questo può essere oggetto di scherno o, nella sua spontaneità priva di sovrastrutture, suscitare empatia. Altre volte invece la maleducazione è intenzionale: andare contro le convenzioni è un modo per marcare la propria posizione di outsider, di trasgressivo anticonformista o per rivendicare una modernità emancipata rispetto a modelli considerati superati e bigotti. Lo sanno bene certi personaggi della scena pop che, durante le loro performance pubbliche, ostentano la violazione delle norme attraverso gesti, abbigliamenti, parole.
Emerge una composita geografia di ruoli tematici associabili a comportamenti inappropriati: c’è il cafone, grossier ignaro e inconsapevole delle sue carenze educative; il parvenu, “nuovo ricco” che, ostentando, pecca in sobrietà; l’arrampicatore, che tenta in tutti modi di sembrare “naturalmente” elegante, ma è sempre in pericolo di tradirsi rivelando insicurezza nel padroneggiare le regole dell’educazione. Tutti ruoli che si definiscono per contrasto, per differenza, rispetto ad altri modelli: il comportamento scorretto emergerà per contrapposizione a quello corretto, quello retrogrado rispetto a quello progressista, e così via.
La maleducazione è mossa dunque da diverse ragioni (e valori a esse sottese), modalità, tensioni ed è tipica di diverse forme di vita. Il maleducato può rivelarsi tale per ignoranza (non sapere), provocazione polemica contro il mainstream (volere), identità popolare (con una maleducazione assunta e rivendicata; come ad esempio accade nel mondo della criminalità) etc. E dal punto di vista del soggetto con cui il maleducato si relaziona, potranno emergere diverse risposte e modalità di giudizio dei comportamenti altrui, collegate ora alla dimensione estetica, ora a quella politica, etica etc. Così come differenti potranno essere i regimi di interazione tra i due soggetti, come quando atti di deferenza ricevono una risposta maleducata, per rimarcare la stizza nei confronti di una “buona educazione” percepita come falsa ed eccessiva; o come quando un gesto volgare di un cantante su un palco viene assunto dal pubblico come espressione di coolness. Indagare le modalità di interazione che intorno alla maleducazione si dispiegano può dunque far emergere forme di razionalità strategica tipiche di individui e collettivi.
Resta il fatto che i contrasti di maniere sottendono scontri tra universi valoriali e rendono evidente come i principi di educazione siano sempre relativi nel tempo e nello spazio: ciò che in una cultura o in una data epoca è considerato educato, in un’altra può non esserlo. Basti pensare all’usanza di mangiare con le mani, alla galanteria oggi a rischio di essere letta come maschilismo, o alla recente tendenza delle case “shoes-free”. L’erutto a fine pasto in Cina è d’obbligo, da noi vietatissimo.
La maleducazione – come anche la buona educazione – è sempre co-testuale: non solo perché, come abbiamo detto, varia con la cultura di riferimento, ma anche perché cambia in relazione al luogo e alla situazione in cui ci si trova. “Succede solo da McDonald’s” recitava un arcinoto spot, per legittimare una trasgressione maleducata che risultava tollerata e persino incoraggiata proprio perché limitata nel tempo e circoscritta nello spazio: un carnevale catartico che non fa che confermare, per contraccolpo, la buona educazione della routine. Ma si pensi anche al divieto di cantare a tavola, di indossare pietre preziose al mattino o cappelli (per gli uomini) in luoghi chiusi: tutti esempi di azioni prescritte in certi contesti e del tutto normali in altri.
A questo tema, chiave di lettura del sociale, è dedicato il numero 44 di E/C.
Di seguito alcune tra le possibili linee di ricerca da approfondire:
- Personaggi pop, mediali, letterari e racconti pubblicitari: da Il borghese gentiluomo di Molière al Mowgli del Libro della Giungla, passando per i Blues Brothers e il recente spot Barilla che legittima la scarpetta, i media offrono svariati ritratti di maleducati, nonché di processi di conversione (con maleducati che diventano educati e viceversa).
- Uomini politici: che si tratti di un’identità costruita ad arte o di infrazioni involontarie al protocollo potenziali cause di incidenti diplomatici, fino ai post mal formulati di movimenti politici, la scena pubblica contemporanea appare sempre più segnata dal politically uncorrect.
- Animali e bambini: spesso assimilati per la loro vicinanza allo stato di natura, necessitano entrambi di “addestramento”, attraverso modelli pedagogici anche contraddittori: dalla rigidità al permissivismo, dal modello comportamentista a quello montessoriano, cambia l’idea stessa di educazione e quindi di maleducazione.
- Spazi maleducati, o che incitano alla maleducazione, come il già citato McDonald’s o, in generale, quei luoghi informali dove, in apparenza, sono consentiti atteggiamenti altrove impossibili (lo stadio, la discoteca…), salvo poi creare ulteriori forme di codifica dei comportamenti (l’isola di Wight?). E forme di maleducazione legate a specifici spazi (teatro, palestra, spiaggia…).
- Oggetti e accessori: come grandi crocifissi al collo, gomme da masticare, occhiali da sole portati sul capo anche di notte, uomini con cappello in ambienti chiusi, per non parlare di smartphone al cinema o in tavola: il modo di utilizzare gli oggetti è rivelatore di (mala)educazione, e ci sono determinati oggetti o tecnologie che, quando s’affermano, sono considerate maleducate (il telefonino a fine anni Novanta).
- Confronti tra tipi di maleducazione nel tempo e nello spazio: per coglierne le trasformazioni, le continuità e le ambiguità, talvolta paradossali.
- Modi di esprimere la maleducazione: analisi dei registri verbali, gestuali, somatici, acustici dell'inappropriato.
Riferimenti bibliografici
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Scadenza per l’invio dei testi definitivi: 20 agosto 2025
Pubblicazione: novembre 2025
I testi devono avere una lunghezza massima di 40000 caratteri ed essere accompagnati da un abstract in inglese di massimo 1000 caratteri.
Inviare le proposte a:
alice.giannitrapani@unipa.it
gianfranco.marrone@unipa.it