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Call for Papers E|C n. 45, 2025

E|C n. 45, 2025

Nel segno di Deleuze: per una semiotica in divenire

a cura di Giuditta Bassano (Università LUMSA, Roma), Federico Montanari (Università di Modena e Reggio Emilia) e Tatsuma Padoan (University College Cork)

“Il mezzo non è affatto una media, al contrario è il luogo dove le cose prendono velocità” (Deleuze, Guattari 1980, tr. it. p. 66). Nel centenario della nascita di Gilles Deleuze (1925-1995) vorremmo tornare sui percorsi e i concetti che hanno fatto pensare il grande filosofo con la semiotica e rinsaldato, nel riflesso del suo pensiero, questioni e fronti degli studi sulla significazione. Negli ultimi decenni, il pensiero di Gilles Deleuze, in grande parte in collaborazione con Félix Guattari, ha avuto un impatto rilevante ma disomogeneo sulla ricerca semiotica. Se da un lato molte nozioni deleuziane, quali rizoma, agencement, concatenamento macchinico, deterritorializzazione, dispositivo, diagramma, spazio liscio e striato, apparato di cattura, molare/molecolare, parole d’ordineritornello, sono entrate nel lessico delle scienze umane e sociali, dall’altro la riflessione semiotica sembra aver accolto questi concetti in modo frammentario, talvolta episodico e talaltro con forse eccessiva naturalezza. Questo progetto a tre voci si propone di riaprire il dialogo tra semiotica e filosofia deleuziana, non per sovrapporre sistemi teorici – di per sé, logicamente – incommensurabili, ma per mettere alla prova le condizioni di possibilità di una semiotica a venire, capace di misurarsi con la molteplicità, la processualità del senso e le possibilità di cartografarne i fenomeni. Il lavoro si articola in tre assi tematici. 

 

Concetti come concatenamento collettivo di enunciazione, molteplicità, apparati di cattura etc. sono circolati all’interno sia della semiotica sia nelle scienze sociali e filosofiche, dando talvolta tuttavia l’impressione di una presa d’atto un po’ alla moda ed estemporanea, o superficiale. Si tratta, al contrario, di valutare e disimplicare la portata di queste idee. L’obiettivo di questo primo asse tematico, riguardante una sperimentazione dei concetti volta al futuro, non è tanto quello di sovrapporre un impianto filosofico alla teoria dei segni, quanto di esplorarne le relazioni, le contiguità e le possibili linee di fuga, alla ricerca di nuove forme di pensiero semiotico. Vi è infatti anche un’altra serie di nozioni e categorie che sono forse ancora più “interne” o, si potrebbe dire, con un gergo degli ultimi anni, “embodied” nel corpo della semiotica. Pensiamo alle categorie tensive (l’idea di intensità, di estensione, o di tensione). Esse, certo, nascono nell’ambito di una epistemologia semiotica a partire da Hjelmslev e attraversano gli studi di Zilberberg, poi di Fontanille ed altri, e le anticipazioni dello stesso Fabbri; tuttavia queste categorie trovano la loro linfa vitale proprio grazie agli incroci con il pensiero deleuziano. Il tensivo non è più solo un carattere, o tratto, di un termine o di una categoria semantica (intenso/esteso) o relativo alla problematica dei “valori dei valori” (le valenze) ma sussume al proprio interno la nozione di intensità (con l’idea di trasformazione qualitativa che può condurre anche a rotture) e tutta una intrinseca dinamicità. Tuttavia ritroviamo, ancora, un’ulteriore serie di concetti e di categorie che, anche in questo caso, sono di origine sia semiotico-linguistica sia filosofica: pensiamo ad espressione o stratificazione. Categorie che, grazie allo sguardo deleuziano – ma, in questo caso, anche soprattutto a partire dal lavoro di Guattari – rappresentano una vera sfida all’articolazione della disciplina semiotica. A partire dal famoso capitolo di Mille Plateaux dedicato al personaggio filosofico del “professor Challenger” (uno Hjelmslev spinozista), Deleuze (e Guattari) riformulano ipotesi radicali sulla natura e le dinamiche della stratificazione espressiva del senso. In esse entrano in gioco sia la rinnovata idea spinoziana di espressione, sia la reinvenzione dei concetti di territorializzazione e di ritornello, da intendersi come meccanismi dinamici degli strati che compongono e danno vita alle formazioni di senso. 

Di qui il secondo asse, cioè il confronto critico con alcune derive del new materialism, dell’affect theory e dell’ontologia orientata agli oggetti in antropologia, sociologia, filosofia, studi culturali e STS. Questi campi del sapere attingono dal lavoro di Deleuze a volte riconoscendone la portata semiotica (Newell 2018; Jensen, Rödje 2010; Viveiros de Castro 2009) ma altre volte espungendone la riflessione linguistica, testuale ed enunciativa (Massumi 1995, 2002; Ingold 2022). Si propone in altre parole una rilettura semiotica di Deleuze, contro ogni tentazione di neutralizzazione discorsiva, rivendicando la centralità del linguaggio e dei regimi di significazione come articolazioni immanenti della materia e del senso. Come i lettori più attenti di Deleuze hanno avuto modo di sottolineare (Fabbri 1997; Montanari 2016; Viveiros de Castro 2010), nelle sue opere il filosofo francese sviluppa un proprio vocabolario concettuale semiotico, attraverso una riconfigurazione innovativa delle categorie semiotiche tradizionali, ricombinate con nozioni provenienti da campi tanto disparati quanto l’antropologia, le scienze naturali, la mitologia comparata, la letteratura e la filosofia. Tuttavia, anche solo guardando agli autori citati in Mille plateaux, un volume che sicuramente ha segnato una svolta all’interno dell’opera di Deleuze e Guattari, troviamo una moltitudine di semiologi e linguisti:  Benveniste, Saussure, Peirce, Ducrot, Greimas, Rastier, Jakobson, Hjelmslev, von Uexkull, Barthes, Guillaume, Martinet, Weinrich, Bachtin, Kristeva. Tra loro, come si diceva, Hjelmslev gioca un ruolo fondamentale, ma altri contributi importanti per le idee di Deleuze provengono da studiosi vicini alla semiotica greimasiana, come i matematici Thom, Petitot e Rosenstiehl. Inoltre, vi è una molteplicità di strumenti semiotici originali sviluppati da Deleuze e Guattari, che includono una semiotica percettiva, una semiotica della corporeità, della viseità, una semiotica pittorica, una transemiotica, una semiotica pre-/post-/contro-/significante, anelli semiotici e macchine semiotiche, segni scalari, segni vettoriali, segni affettivi, e molti altri. Un’analisi sistematica e approfondita di come una semiotica deleuziana potrebbe essere, e come tale patrimonio di concetti potrebbe aiutarci a riconsiderare i problemi della significazione, deve ancora essere condotta. Così, mentre filosofi come Massumi o Braidotti (Massumi 1995; Dolphijn, van der Tuin 2012, pp. 19-37) vedono Deleuze come pensatore intento a separare gli affetti e la materialità dalla discorsività e le scienze del linguaggio, leggendo Mille plateaux ci troviamo invece davanti a una profonda riflessione sui fondamenti della semiotica e del linguaggio stesso, proprio a partire dal lavoro di Hjelmslev. Se dunque questo secondo filone, riguardante la ricezione del pensiero deleuziano nelle altre discipline, ci porta da un lato a confrontarci criticamente con alcune delle letture “antisemiotiche” (Newell 2018) date all’opera di Deleuze, dall’altro ci invita a una riscoperta del ricchissimo ‘sottobosco semiotico’ presente in gran parte dei suoi lavori, una vera e propria foresta di idee, sicuramente intricata ma articolata in modo molto preciso. Questo numero speciale vuole dunque spingerci non solo a una riflessione più sistematica e approfondita sul sostrato semiotico del pensiero deleuziano, ma anche a riprendere i concetti semiotici sviluppati in modo così innovativo da Deleuze e Guattari, tentandone la traduzione e integrazione all’interno del paradigma metodologico della semiotica. 

Infine, vorremmo tornare sul rapporto che Paolo Fabbri (1939-2020) ha intrattenuto con il pensiero di Deleuze. La questione passa senza dubbio anche attraverso un aspetto biografico, per l’amicizia con Guattari, “l’esperto” di semiotica, lo studioso delle molecolarità semiotiche o con le parole di Deleuze stesso “le trouveur”, il trovatore dei concetti – mentre Deleuze teneva per sé il ruolo del “polisseur”, il lucidatore, il levigatore (Dosse 2007). A distanza di cinque anni dalla scomparsa di Fabbri, appare urgente provare a rintracciare le omologie e i prelievi che rendono a nostro avviso Deleuze un cardine della ricerca fabbriana. Non solo cioè, la sua riflessione e il suo lavoro poggiano su strategie concettuali affini a quelle deleuziane, praticando un sapere rizomatico, non sistemico, orientato alla modulazione e non alla fondazione. Non solo Fabbri si è potuto costituire, in Italia, come interlocutore e alfiere effettivo di Deleuze, in un gioco di rilanci di primissimo piano (Fabbri 1997, 1998, 2015). Più in profondità, inseguiamo l’ipotesi che Fabbri abbia trovato nel Deleuze “spinozista” i fondamenti di una propria teoria semiotica delle passioni. Inoltre, che il semiologo avesse attinto all’ idea della deformazione enunciazionale – Deleuze su Bacon (Deleuze [1981]2002) – per riconcepire in una radicale immanenza la nozione narrativa di trasformazione. È l’idea di “piega” (Deleuze 1988, p. 320; Fabbri 2015) – le pli – che crediamo debba essere per prima cosa recuperata e connessa con la lettura di Deleuze da parte di Fabbri. Per queste ragioni, su questo terzo asse, invitiamo a proporre sia contributi di carattere archeologico, che assumano l’urgenza di ricostruire un quadro completo di questa implicita ‘collaborazione di pensiero’, sia contributi sulle discendenze dell’immanentismo hjelmsleviano tanto nel pensiero di Deleuze che nella ricerca di Fabbri, e infine, non meno, saggi che proseguano e rilancino gli elementi più radicali del lascito deleuziano rispetto allo studio della significazione nella prospettiva strutturale e generativa. Se crediamo che questo lavoro valga la pena di essere intrapreso, è anche perché Paolo Fabbri ha non solo anticipato un possibile futuro della semiotica, ma ne ha già praticato la variazione in divenire. 

Invitiamo quindi studiose e studiosi a proporre saggi con taglio analitico, metodologico o di riflessione epistemologica, seguendo uno di questi tre assi tematici che riguardano: 

– una sperimentazione concettuale con la semiotica di Deleuze;  

– un confronto critico con la sua ricezione, unita a una rilettura semiotica del suo corpus;  

– una archeologia e rilancio del rapporto tra Fabbri e il pensiero deleuziano. 

 

Riferimenti bibliografici

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Scadenza per l’invio dei testi definitivi: 30 settembre 2025

Pubblicazione: dicembre 2025

 

I testi devono avere una lunghezza massima di 40000 caratteri ed essere accompagnati da un abstract in inglese di massimo 1000 caratteri.

Inviare le proposte a:

g.bassano@lumsa.it
federico.mont@gmail.com
tatsuma.padoan@ucc.ie

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